Conversazione con Marcello Calà e Giovanni Lucentini
A cura di Ivana Riggi
Su Archimagazine raramente ho scritto della mia terra, la Sicilia. Forse
altrettanto sporadicamente ho intervistato architetti del Sud, giovani di
talento che parlano poco ma “scavano molto” nelle viscere di quella terra
assolata che è come “un animale dagli occhi caldi e stanchi…” Rimedierò oggi.
Marcello Calà e Giovanni Lucentini sono due architetti siciliani che svolgono
il loro lavoro con passione, con una dedizione “silenziosa e dignitosa” in un
territorio bello, potente, pieno di creatività ma molto difficile non tanto per
le logiche clientelari, spesso “sporche”, che oramai coprono purtroppo tutta la
nostra nazione ma perché si è spesso soli in balia di un'etica che è tanto millantata
ma difficilmente e concretamente dimostrata. In questo contesto a volte basta
un ghigno “a mezzo sorriso”, “ a mezza parola” per cercare di “smontare” e
ostacolare qualcosa di ben fatto. Nessuno è “eroe” ma vincere un concorso come
quello di “Il Parco della Memoria” di Pizzolungo (Erice, 2011) secondo me è un
bel traguardo.
Vorrei capire meglio il progetto e i suoi sviluppi futuri. Non amo i toni
polemici ma le domande. Mi chiedo adesso: “carta canterà e cosa?” o “carta
dormirà”?
Parliamone.
Qual è il valore di questo progetto?
In questo momento in cui la mafia è cosi forte anche economicamente, col
disinteresse generale della società che cerca quasi di dimenticare come se
volesse superare una contrapposizione tra stato, società civile e mafie che
sembrano diventare parte di uno stesso equilibrio sociale, non ci
sorprenderebbe l'affermazione di un valore e di una chiara opinione: per questo
motivo il progetto cerca di essere iperrealista. Il senso del progetto è
proprio il volere costruire un acontrapposizione tra un modello
tranquillizzante, anche di una certa antimafia, e il non volere fare ancora
dopo decenni i conti con la coscienza e complicità sclerotizzate da anni.
Proprio la nettezza di un oggetto che patenta la tragedia e il senso di un
quasi non voler vedere significa forzare le persone a riflettersi in uno
"specchio incassato nella natura" dove il passaggio del tempo non ha
mai completamente riuscito a cancellare la tragedia che rimane permanente.
Avere accettato questo ha significato un impoverimento generale della nostra
società, mancata crescita culturale ed economica. L'avere rimosso la memoria di
questi avvenimenti, rendendoci complici di chi ha avallato questa rimozione è
la maggiore responsabilità di tutti i siciliani nei confronti di loro stessi. È
il motivo basilare a cui è riconducibile per varie vie la mancata crescita
della nostra società.
Cosa intendete per mancata crescita?
La crescita del potere economico della mafia nasce dal fatto che non esiste
una coscienza del valore del lavoro. Pio la Torre non si interessò solo della
legge che porta il suo nome ma lavorava per una crescita complessiva che si
basava sulla cultura del lavoro. Oggi ci sono tanti rottamatori poveri ed
epidermici nelle loro proposte culturali e politiche che sembrano piuttosto
uomini molto più amanti del potere che non hanno una cultura complessiva tale
da affrontare il problema da vari punti di vista per provare a risolverlo. Noi
non vogliamo attaccare Totò Riina col progetto ma piuttosto una certa cultura,
per cosi dire cultura politica, che si maschera dietro formule accattivanti,
politically correct, che non vede come unica possibile sconfitta del sistema
mafioso e borghese, complice e fruitore dei servizi, la crescita del valore
del lavoro e della cultura come sistema di sviluppo economico e base per la
rifondazione del paese. Il realismo oggi è l'unica possibilità per la svolta di
una società pigra e indolente: bisogna ricominciare a colpire la coscienza
della società italiana con cazzotti di realtà.
Quindi è per questo che il progetto è cosi realista?
Spesso su questi temi si lavora su modelli retorici e tranquillizzanti,
evocativi, mentre noi cerchiamo di dire che la società in questo paese ha
assorbito il modello mafioso così come le ferite. Non ci emozionano le marce di
protesta quando in realtà poi ce una forte parte della società per legami
parentali o culturali che sostiene economicamente e moralmente il sistema
mafioso o che comunque si muove in maniera molto politica gestendo in maniera
utilitaria il problema, senza cioè che questo abbia ricadute morali significative
per la propria parte. Noi auspichiamo che il progetto non trovi opposizioni
perché questa è una società che vuole combattere la mafia delle coppole ma, non
vuole una nuova presa di coscienza per iniziare un processo di recupero della
qualità del paese. Dire come dice il nostro progetto che "costoro non
vedono le ferite inferte nelle nostre vite perché sono diventati segni nel
paesaggio e assomigliano alle montagne" è più forte che dire "in
fondo i mafiosi sono brutti sporchi e cattivi". Nel secondo caso si
esprime un modello razzista e facile da accettare quando ormai sappiamo che i
mafiosi sono laureati manager affermati.
Qualcuno pensa che nel vostro progetto sembra non esserci una “prospettiva
di speranza”?
In realtà non ce ne è nessuna, è incredibile immaginare una prospettiva di
speranza in una regione dove l'occupazione media è del 25% e di questa circa il
40% è precaria. In realtà come queste, ad una mafia economicamente imperante si
oppone sempre una cosiddetta antimafia le cui figure di solito sono
"pallide" e poco qualificate sul piano culturale, prive di identità.
Noi abbiamo voluto mettere in scena senza filtri la brutale normalità del
paesaggio, lo spazio della tragedia e la sua forma come parte dell'immagine
consolidata dei luoghi, difesa e mostrata nei suoi colori. Abbiamo voluto
rappresentare tutto ciò che è interiore, strutturato, irredimibile nella
nostra coscienza. "Un abitudine alla tragedia", una anormalità che
dovremmo imparare nuovamente a conoscere perché ormai nascosta proprio dal
nostro senso della normalità. Per esempio: per noi è normale che, chi oggi
teoricamente fa parte dell'antimafia, sia figlio di chi con la mafia trattava
pagando il pizzo e che non ci sia stato in questo passaggio nessun processo
interiore di presa di coscienza e di autodenuncia. Ad esempio quando Adolf
Hitler cominciò ad uccidere gli ebrei lo fece perché la società era pronta ad
accettare il genocidio come atto di normalità, cosi la nostra società accetta
oggi come parte della nostra normalità ciò che dovrebbe essere inaccettabile.
Tutto ciò avviene per generazioni: i figli di quella borghesia corrotta oggi
hanno ruoli significativi e chi chiedeva di chiudere nei lager i magistrati 20
anni fa oggi è stato pagato bene… Per questo col nostro progetto vogliamo
gridare “la normalità del paesaggio”, ciò che già aveva detto Tomasi di
Lampedusa: "é la bellezza del paesaggio siciliano che impedisce alle
persone di vedere la tragedia in atto."
Il vostro progetto è “silenzioso”?
Cerca l'esaltazione del silenzio del paesaggio rovente e della sua
evocazione con materiali corrosi dai rossi sporchi e dai bruni profondi che
sono il carattere stesso di questa terra ricca di ferro . Chi ha visto Sicilia
sa che il paesaggio è “silenzioso” anche ciò che accade di più terribile viene
ovattato dal rumore dei grilli. Il mare trasmette l'odore del silenzio. La
Sicilia è un paese in cui riesci a essere solo dovunque. Rimane la terra e lo
spazio, è la condizione delle isole che accolgono i naviganti. Noi abbiamo voluto
concentrare in questo posto l'odore del mare, il verde che raccoglie la terra,
i grilli, il silenzio della notte e la solitudine che una parete lontana dà a
chi arriva dal mare, una pace interiore che sembra a volte compensare la morte
e la povertà. In questo non c'è alcuna banale speranza c'è solo la presa di
coscienza di una realtà bella ma anche dura. Immaginare, quindi, un mondo roseo
e irreale attraverso candide retoriche pensiamo non serva a nulla; guardare,
invece, senza false speranze la brutalità di questa realtà di cui facciamo
parte porterebbe certamente ad una presa di coscienza prima individuale poi
collettiva che allora sì cambierebbe le cose…
Concludendo: tutto sarà realizzato?
Proporremo un lavoro che cercherà di conservare il senso del progetto
iniziale, già il cantiere è iniziato in una prima fase e con la nostra
consulenza dal comune nel rispetto massimo della sagoma del progetto. Il nostro
impegno è di dare un valore sociale a questo luogo che imporrà, speriamo, un
invito a riflettere e a prendere coscienza di ciò che di corrotto ha dentro
ognuno di noi. Vedremo.
Marcello Calà nasce a San Cataldo il 23 giugno del 1979. Le vicende
della sua adolescenza ruotano tutte intorno alla musica che coltiva con
passione anche frequentando dedizione e ottimi risultati il Conservatorio di
musica in chitarra classica e alla fotografia. Durante i suoi studi artistici
esplora le sue attinenze con la scultura e il disegno dal vero, affinando la
sua sensibilità con la storia dell'arte, la letteratura e la filosofia
scoprendo in se una curiosità scientifica che lo porterà ad approfondire sempre
di più ambiti prettamente tecnici e scientifici. Qui scopre l'architettura
quale disciplina nella quale riversare tutta la sua sensibilità e capacità
acquisite in altri campi e approda agli studi universitari già con l'esperienza
di tre anni di intensa progettazione con trasferendosi a Palermo dove si laurea
con lode nel 2007 con una tesi sull'architettura per la musica.
Contemporaneamente all'attività di tutor universitario e il conseguimento di un
master in Yacht Design stratifica con determinazione varie e diverse esperienze
in studi di architettura nei quali si distinguerà per aver acquisito esperienza
nella progettazione esecutiva, nel settore dell'interior design e dello yacht
design per aziende come Blue Boat di Termini Imerese, per la quale svilupperà
un suo concept di superyacht innovativo. Inizia negli ultimi anni una fruttuosa
collaborazione con lo studio Inzerillo&Albeggiani Yacht Design e professionisti
come Raffaele Bonafede e Giovanni Lucentini. Con Quest'ultimo inizierà una
stretta partnership che lo porterà attraverso un intensa attività progettuale
con gruppi come PROGER s.p.a. e UNA2, oltre sistematici piazzamenti in concorsi
nazionali, a costituire il gruppo Lg=mC e a condividere con lui la vittoria al
concorso “Il Parco della Memoria di Pizzolungo, Erice” ”, pubblicato su
quotidiani e periodici nazionali e vincitore del World Architecture Award
categoria (+10) già in fase di realizzazione.
Giovanni Lucentini nasce a Castelvetrano il 7 giugno del 1967. Approda
agli studi universitari in Architettura frequentando dapprima la Facoltà di
Architettura de La Sapienza di Roma e successivamente torna a Palermo dove si
laurea nel 1997. Inizialmente impegnato in praticantati in studi di
Architettura e ingegneria svolge una lunga gavetta che gli permette di
acquisire una particolare expertise nella gestione della forma e dell'immagine
architettonica, negli aspetti funzionali, tecnologici, logistici ed economici
del progetto in tutte le sue fasi. Solo da pochi anni Inizia a realizzare
progetti in proprio e a collaborare con gruppi e studi per la redazioni di
concorsi di architettura. Nel 2004 vince il concorso internazionale del
Waterfront di Palermo, progetto dove fondamentali sono state le scelte
progettuali anche di natura socio-economiche e di pianificazione urbana che
risulteranno vincenti e che gli valgono un incarico di consulenza e una
partecipazione alla biennale sezione Palermo - Porto. I suoi progetti sono stati
esposti in numerose mostre in Italia e all'estero. Vanta Inoltre lavori con
grandi gruppi di ingegneria italiani come PROGER s.p.a. e internazionali come
RAMBOLL A/S, collaborazioni con studi di architettura come UNA2,
Inzerillo&Albeggiani, Santo Giunta, Scarpinato ed autonome Forme ed altri.
Oggi vive e lavora a Palermo nella sua casa-studio dove al di fuori del sistema
clientelare locale e continua con la stessa militanza e l'attivismo politico
che lo contraddistinse qualche anno fa per l'agguerrita e argomentata
contrapposizione al concorso di “Pizzo Sella” per il nuovo parco pubblico sito
in quella che egli definì “la ridente località abusiva” bandito dall'Ordine
degli Architetti di Palermo e “sponsorizzato” dal comune di Palermo. La sua attività
annovera fra ultimi, oltre sistematici piazzamenti in concorsi nazionali, una
vittoria al concorso “Il Parco della Memoria di Pizzolungo, Erice.