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Time Horizon. Antony Gormley al Parco Archeologico di Scolacium

Roccelletta di Borgia (Cz) - Parco Archeologico di Scolacium
Dal 24 giugno al 5 ottobre 2006

Gormley e Scolacium ovvero il respiro di un artista dentro una città scomparsa. L’ambizioso progetto a cura di Alberto Fiz prenderà forma tra gli ulivi e le antiche rovine del Parco Archeologico di Scolacium, tra Catanzaro e le spiagge joniche, tra il 25 giugno e il 8 ottobre.

Time Horizon, 2006

Antony Gormley
Time Horizon, 2006
100 sculture - Dim: 189x53x29 cm ciascuna

Time Horizon è il titolo dell’installazione che Antony Gormley ha realizzato appositamente per Scolacium. Saranno 100 sculture in ferro di 189x53x29 centimetri, dal peso di 650 chili ciascuna che l’artista inglese ha creato partendo dai calchi del suo corpo; le opere appaiono come una serie di varianti rispetto al processo di respirazione.
L’evento espositivo organizzato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Catanzaro con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Regione Calabria e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria, propone, accanto all’installazione che dà il titolo alla rassegna, una mostra personale di Gormley nei suggestivi ambienti del Museo del Frantoio, all’interno del Parco di Scolacium, con una selezione di opere che vanno dalla fine degli anni Ottanta sino a oggi, in grado di ripercorrere la ricerca linguistica e le innovazioni stilistiche dell’artista.

Fonderia dell'opera Time Horizon

Fonderia dell'opera Time Horizon

Time Horizon caratterizza la seconda edizione di Intersezioni, la rassegna nata nel 2005 con l’obiettivo di proporre una nuova fruibilità dell’arte, sottolineando la relazione tra il patrimonio archeologico e l’esperienza dei maggiori scultori contemporanei.
Tony Cragg, Jan Fabre e Mimmo Paladino sono stati i protagonisti della prima edizione. "Dopo il successo dello scorso anno il Parco Archeologico di Scolacium è al centro di un altro impegnativo progetto internazionale particolarmente innovativo dove l’arte di oggi instaura un inedito dialogo con la memoria e la storia", afferma Maurizio Rubino Assessore alla Cultura della Provincia di Catanzaro. Ed è il Presidente della Provincia di Catanzaro Michele Traversa a confermare che "con Intersezioni la Calabria della cultura non solo valorizza uno dei suoi luoghi storici di maggior fascino ma diventa un punto di riferimento per la comprensione dei linguaggi più attuali promuovendo un nuovo approccio con i maggiori maestri della contemporaneità".

Transfuser III, 2002

Antony Gormley
Transfuser III, 2002
Mild steel rings, 18 x 3 x 3 mm; 30 x 3 x 3 mm mild steel rings, 211 x 67 x 47 cm

Per quanto riguarda il progetto espositivo è Alberto Fiz a spiegare come "in questo caso Gormley abbia messo a disposizione il proprio corpo per compiere un’indagine sull’universo fisico e sensoriale che interagisce con il territorio e con l’architettura del luogo". Tutto ciò, ribadisce il critico, "consente di ampliare la nostra percezione e di sviluppare un percorso visivo completamente nuovo ponendoci in continua relazione con la moltitudine del nostro essere e del nostro agire. L’uomo diventa, allo stesso tempo, contenitore e contenuto dello spazio infinito".
Le sculture occupano il Parco di Scolacium disponendosi sull’intera area sia nella zona archeologica del Foro, ovvero la piazza principale della colonia Minervia Scolacium dove un tempo erano situati i monumenti più importanti, sia nell’immenso uliveto circostante. Sono state collocate ciascuna su una base differente alla stessa altezza creando un’unica linea dell’orizzonte. "E’ la prima volta che posso utilizzare un luogo così affascinante e così ricco di riferimenti alla memoria storica e alla realtà del presente", afferma Gormley. "Il mio progetto si sviluppa su due assi, quello orizzontale della storia e quello verticale della natura e della terra. Le mie sculture, che richiedono la presenza diretta dello spettatore, si possono considerare come una sorta di agopuntura in grado di ridare energia allo spazio evidenziando aspetti che prima sembravano nascosti".

Sovereign State, 1989-90

Antony Gormley
Sovereign State, 1989-90
Brass, lead, plaster, fibreglass, air, rubber hose

Iron Baby, 1999

Antony Gormley
Iron Baby, 1999
Ferro


L’installazione dello scultore inglese va considerata come un innesto sul territorio dove archeologia e geologia trovano nuovi punti di connessione e lo spettatore che giungerà al Parco Archeologico di Scolacium si troverà a compiere un percorso esplorativo affascinante e misterioso dove le opere di Gormley attendono in silenzio di essere scoperte creando un rinnovato dialogo con chi osserva.

Foto di Pete Moss

Antony Gormley
Foto di Pete Moss

Present Time

Antony Gormley
Present Time


Accanto a questa complessa installazione ci sarà, come s’è detto, una mostra allestita negli spazi del Museo del Frantoio che per la prima volta viene utilizzato per un’esposizione d’arte contemporanea. In una cornice di archeologia industriale formata da macine, presse e mole degli anni Trenta per la lavorazione delle olive, sono state collocate alcune opere come Seeing and believing del 1988, Sovereign State del 1989/90, Transfuser III del 2002 e Concentrate I del 2003 da cui risulta con chiarezza l’originalità dell’indagine di Gormley che ha rivitalizzato la figura umana nella scultura contemporanea attraverso una radicale indagine sul corpo, inteso come luogo di memoria e di metamorfosi in una ricerca sull’individualità ma anche sul corpo collettivo e sulla relazione tra sé e gli altri. A questo proposito appaiono emblematiche le due opere della serie Quantum Cloud, ovvero Quantum Cloud XVII e Quantum Cloud XXIV, entrambe del 2000, dove la figura appare nascosta all’interno di filiformi strutture in acciaio che ne impedisce una reale percezione, come se chi osserva fosse costretto ad un continuo processo di avvicinamento e di allontanamento. Nel caso di Transfuser III del 2002, il corpo sospeso è avvolto da un involucro in acciaio, quasi una navicella spaziale, che sembra custodire il feto.
Nella piccola piazzetta che porta all’ingresso del Museo del Frantoio lo spettatore sarà accolto invece da Present Time del 2001, una grande scultura in ferro di tre metri d’altezza basata sulla sovrapposizione di due calchi dell’artista divisi da una linea orizzontale dove si crea una stretta relazione tra l’elemento fisico e quello spirituale, tra lo spazio interno e quello esterno in una indagine tesa a metterci in contatto con l’aspetto più recondito e segreto dell’esistenza.

La mostra è accompagnata da un catalogo in italiano e inglese edito da Electa che rappresenta la prima importante monografia dell’artista pubblicata in Italia. Accanto al saggio del curatore Alberto Fiz, sono raccolti contributi critici di Bruno Corà e Colin Renfrew. Il volume, inoltre, è accompagnato da un’intervista di Antony Gormley con Alberto Fiz.

Antony Gormley è nato a Londra nel 1950. Dopo aver completato gli studi di archeologia, antropologia e storia dell’arte al Trinity College di Cambridge, fa un lungo viaggio in India per tornare a Londra tre anni dopo completando gli studi alla Scuola Centrale d’Arte di Goldsmiths e alla Slade School of Art. L’opera di Antony Gormley è stata ampiamente celebrata in Inghilterra con mostre personali alla Whitechapel, Tate, Hayward Gallery, British Museum e White Cube. Ma sono molte le esposizioni fuori dal suo paese come testimoniano le mostre che si sono svolte al The Louisiana Museum di Humlebaek, The Corcoran Gallery of Art di Washington, The Irish Museum of Modern Art di Dublino e The Kolnischer Kunstverein in Germania. Ha preso parte alla Biennale di Venezia e a Documenta 8 di Kassel. Nel 1994 ha vinto il Turner Prize e nel 1999 il South Bank Prize per le Arti Visive. Sino al novembre prossimo la sua grande installazione Another Place sarà collocata a Crosby Beach nei pressi di Liverpool. Da giugno ad agosto 2006 un’altra grande installazione, Asian Field sarà ospitata nell’ambito della Biennale di Sidney e nella primavera del prossimo anno sarà la Hayward Gallery di Londra ad ospitare una sua importante mostra personale.


Il corpo come soggetto perduto
Conversazione tra Alberto Fiz e Antony Gormley

Alberto Fiz In occasione della mostra Time Horizon al Parco Archeologico di Scolacium tu hai appositamente realizzato una grande installazione di 100 sculture basate sulle differenti vibrazioni del tuo corpo collocate nell’ambiente. Si tratta del più importante progetto da te realizzato in Italia e uno dei progetti più impegnativi della tua carriera. Qual è la ragione di questo intervento?
Antony Gormley E’ la prima volta che posso utilizzare un luogo così affascinante dove la memoria si va ad intersecare con la natura viva e millenaria della natura. E’ stato per me essenziale poter agire su due assi, quello orizzontale che costituisce la permanenza della storia e quello verticale della vita e della terra. Si tratta della relazione tra il luogo archeologico e quello geologico; tra la matrice razionale della storia e lo spazio profondo della terra. Per me è straordinario poter avere una simile dimensione all’interno della quale agire.


A.F. Ma qual è il punto di congiunzione tra il tuo agire e l’ambiente che hai a disposizione?
A.G. Il mio scopo è stato quello di evidenziare una presenza che non appariva evidente prima. Sin dalla mia prima visita al Parco Archeologico di Scolacium, a me prima sconosciuto, ho avuto la chiara sensazione di trovarmi di fronte ad una specie di mappa come se il luogo fosse già di per se stesso predisposto per un’esposizione dove convivono differenti piani del significato. La città greca-romana con una basilica normanna, gli ulivi, sistemati in modo estremamente razionale e l’antica fabbrica dell’olio diventato Museo del Frantoio dove ho collocato una selezione di opere che illustrano il mio percorso artistico. In questo contesto così articolato m’interessa comprendere quale relazione esiste tra la scultura e l’uomo, dove si colloca l’una e dove si colloca l’altro e qual è la relazione gerarchica tra la coscienza e la terra che io interpreto come la zona di ricerca all’interno della quale si colloca la scultura.


A.F. Cosa rappresenta per te la scultura?
A.G. Il punto di convergenza tra la natura e l’uomo. La scultura si colloca nello stesso punto dove collocherei l’uomo all’interno del contesto naturale.


A.F. Ma c’è davvero oggi un posto per la scultura?
A.G. Per gran parte del ‘900 la scultura ha seguito la storia eroica del modernismo; è stata prodotta nell’atelier dove l’uomo ha tentato di ricreare il mondo dando valore al suo lavoro attraverso se stesso. Successivamente, la funzione dell’atelier è stata sostituita dal museo. L’opera, dunque, non si riflette nel mondo ma trova nel museo la sua sede idonea dove vengono certificati i valori dell’arte. Ma questo per me è troppo riduttivo: io desidero far uscire l’opera dal contesto protettivo del museo. L’opera deve entrare in contatto con l’esistenza e in tal modo si prepara a sopravvivere. Nella cultura di oggi il posto privilegiato della scultura sono i musei e le collezioni private. Ma in tal modo l’arte ha perduto una parte del suo potere: il matrimonio con le istituzioni, infatti, ne ha attutito il valore più dirompente che è quello di confrontarsi con il mondo. Credo che il luogo dell’arte sia ovunque e che la vera sfida sia quella di sistemare le sculture ovunque senza badare a quelli che sono i recinti istituzionali all’interno dei quali è stata costretta.


A.F. In base a quanto tu affermi, l’arte ha la necessità di ritrovare una relazione con la vita tornando ad essere una parte integrante dell’esistenza. In che modo la tua scultura può modificare la percezione del luogo?
A.G. La storia dell’arte è colma di grandi pittori che pongono al centro della loro ricerca la relazione con la terra. Basti pensare a Domenichino, Annibale Carracci, Claude Lorrain, Nicolas Poussin. Essi considerano determinante nell’ambito della loro indagine il rapporto tra l’uomo e il paesaggio. Per me la cosa più importante è quella di porre lo spettatore in relazione con la terra collocandolo al centro dell’universo rappresentativo. M’interessa sistemare lo spettatore nel campo d’azione dell’opera. Il problema, insomma, non sta più nella relazione con un’immagine bensì nell’osservare il corpo stesso come spazio, come oggetto, utilizzando la rappresentazione non come coppia perfetta del reale bensì come possibilità di riflessione sul nostro essere. In questo senso faccio propria l’idea di land art in quanto le mie opere non sono simboliche e non vanno intese come la fabbricazione di immagini ma come un vero segno lessicale di un momento di vita che è registrato dal materiale e che indica l’istante nel quale un uomo ha vissuto. La mia arte diventa parte integrante dell’esistenza astenendosi da qualunque descrizione o interpretazione; la scultura vuole indicare la posizione di un uomo in un preciso istante. L’idea di me stesso e dell’altro è di essere qui e altrove. In questo senso le tracce del corpo-scultura sono assopite in attesa della vita; accettano di essere cose silenziose e inerti e domandano allo spettatore d’intervenire dando loro ciò che gli manca. Desidero che lo spettatore sia la terra, che si osservi come una parte del campo di energia che le mie opere creano e che si trovi fisicamente nel luogo della rappresentazione. Time Horizion è una sorta di agopuntura nella terra che mette in rilievo ciò che già si trova là.


A.F. Quale incidenza ha la tua scultura sulla percezione spazio-temporale del luogo?
A.G. Ciò che m’interessa è rienergizzare ciò che già si trova attraverso un intervento preciso sulla realtà. Le opere che creo hanno poco interesse in loro stesse ma la loro azione si sviluppa nel momento in cui vengono collocate nel territorio. Esattamente come l’agopuntura che ottiene il suo effetto quando è ben sistemato nei punti cardinali del corpo. Così è possibile modificare il sistema complessivo dell’energia e dare la possibilità di realizzare qualcosa di nuovo. Si accetta il luogo come un corpo donato e la funzione della figura sta proprio nella capacità di ridargli energia, di ridargli una nuova vitalità.


A.F. La tua opera è continuamente in contatto con la terra. Del resto, l’uomo in termini religiosi è stato creato con l’argilla e dopo la sua parabola ritorna alla terra.
A.G. Questa idea mi affascina. Il nostro mondo occidentale è in perenne lotta tra la razionalità e la fede. L’idea di mettere il corpo dell’uomo tra i resti del suo passato come avviene al parco archeologico di Scolacium è molto forte e anche in questo caso è presente l’idea della reincarnazione.


A.F. Ti consideri un artista classico?
A.G. Non credo di essere un artista classico. Posso dire di essere più vicino a Marcel Duchamp. Prendo ispirazione dal ready made considerato non come objet trouvé ma come il sujet perdu. Non m’interessa continuare sulla strada intrapresa da Rodin. Voglio osservare il corpo non come un oggetto idealizzato di rappresentazione ma come un luogo, come uno spazio. La mia esistenza va considerata come un esemplare unico della condizione umana universale. Parlo a questo proposito di un’idea aprioristica che caratterizza tutto il mio lavoro. Prendo la realtà materiale della mia esistenza come un primo punto di partenza. Lavoro sulla mia opera dall’interno e le mie sculture partono da me come luogo di coscienza di un corpo di cui sono cosciente. Un atto che in nessun modo vuole essere eroico ma, semmai, patetico. Coscientemente prendo la posizione di essere il soggetto delle azioni degli altri, di essere una cosa. Sono assolutamente contrario all’idea dell’artista espressionista che spinge la sua personalità il suo essere verso un'altra cosa. Accetto la mia condizione come prima condizione dell’essere. Non mi riconosco nell’idea rinascimentale che l’uomo sia la misura di tutte le cose. L’uomo è la misura dell’uomo. La relazione con il resto dell’universo rappresenta una questione aperta. Sono, dunque, assolutamente in contrasto con la scultura classica che punta alla realizzazione di un corpo ideale.

(Catanzaro, marzo 2006)


Informazioni

Time Horizon. Antony Gormley al Parco Archeologico di Scolacium


Luogo: Roccelletta di Borgia (Cz) - Parco Archeologico di Scolacium

Periodo: dal 24 giugno al 5 ottobre 2006

Inaugurazione: sabato 24 giugno 2006, ore 18.30

Orari: tutti i giorni 10 - 21,30

Ingresso: libero

Curatore: Alberto Fiz

Organizzazione: Assessorato alla Cultura della Provincia di Catanzaro con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Regione Calabria e della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria

Info: tel. 0961 391356 - 84342 - 741257


Articolo pubblicato il 4 giugno 2006