Un Maestro rinascimentale all'ombra del Vesuvio. Conversazione con Riccardo Dalisi
di Marcello Silvestro
Non credo sia né un errore né un abbaglio
affermare che gli ultimi dieci-quindici anni hanno visto
prosperare negativamente un'arte decisamente angosciosa,
spesso crudele e oscena, comunque lontana da ogni
tenerezza, allegria, vivacità e quel che è peggio ironia e umorismo.
Insomma: un'arte seriosa, scarsa di estro, melanconica, lutulenta,
dove ogni sorriso - ogni risata - è spento e dove le lacrime
non sono di commozione o compassione ma solo di ansia e terrore.
E, allora, come non compiacersi quando,
in questo grigiore tutt'al più attraversato dai bagliori
del sangue e degli incendi, si affaccia l'opera di un artista
che sa essere garbato, sensibile, ma anche e soprattutto
gioioso, ilare, ironico e anche umano, fantastico, persino grottesco,
come Riccardo Dalisi?
Gillo Dorfles
Opera di Riccardo Dalisi
Collezione Archimagazine
Fotografia © Archimagazine
Dal 19 giugno a Roma e dal 21 giugno a Napoli, fino al 27 luglio 2007,
Riccardo Dalisi espone le sue sculture presso lo Studio Trisorio.
È questa l'occasione per presentare ai nostri lettori un artista a tutto tondo - architetto, designer, scultore, pittore, scrittore, poeta, animatore di strada - che riteniamo sia una tra le figure più stimolanti e creative degli ultimi anni in Italia.
Marcello Silvestro: Nasci a Potenza ma sei Napoletano di adozione
Riccardo Dalisi: Le prime origini sono fondamentali. Possiamo risalire ad esse,
a quelle che ci hanno dato evocando emozioni e nostalgie profonde. Potenza,
Napoli… Milano mia terza patria. Forse per questo sentirmi generato dalle più
diverse patrie vado fondando laboratori nei luoghi più diversi. Trieste, Roma,
Reggio Calabria, Napoli soprattutto alla Sanità: “Progettazione e Compassione”.
Ora tutto il fulcro è la scultura con il lavoro artigianale intorno ad essa
fino al gioiello poverissimo.
Opera di Riccardo Dalisi
Collezione Archimagazine
Fotografia © Archimagazine
Appartieni a quella generazione di architetti cresciuti sulle ceneri di un
razionalismo ormai in crisi ma convinto che nel progetto fosse fondamentale
giungere all'invenzione... capovolgente.
Si è combattuto con un razionalismo sempre rinascente, mai totalmente
superato, anche perché i suoi aspetti vitali continuano ad essere motivo di
ricerca e di crescita.
Entrando nel senso più intimo dell'architettura si incontra come un bivio, da
una parte la via maestra dell'arte, più sociale del costruire (per una visione
proiettata verso il futuro, che crea il futuro); oppure negli spazi più aperti
che confinano con l'architettura e vanno oltre. Sono questi i sentieri che ho
preferito, che la mia natura mi ha spinto a percorrere.
Allievo di Della Sala, che aveva lavorato con Gropius, hai imparato da lui
l'incontentabilità: non fermarsi mai, non essere mai soddisfatti dei risultati,
lasciarsi stimolare anche dall'errore, una variabile che apre spazi mai
programmabili.
È vero. È curioso nelle nostre facoltà si conosce poco il metodo del
“ricercare”. Ogni progetto, ogni opera è frutto di un ricercare. Anche le opere
che vengono su veloci come un soffio, in realtà sono generate da un lungo,
“sofferto” ricercare a volte “inconsapevole”, non specifico.
Opera di Riccardo Dalisi
Collezione Archimagazine
Fotografia © Archimagazine
Negli anni Settanta ti dedichi allo studio di Gaudí. Nel libro Gaudí mobili e
oggetti (Milano, Electa, 1978) c'è una grande attenzione per l'uso dei materiali,
per alcuni particolari accostamenti, una ricerca di frammenti da cui nascono
oggetti richiamati ad una nuova vita, che Gaudí ha compiuto, e che tu tuttora
compi.
Sì. Gaudí è stato mio maestro, non solo però. Tantissimi altri mi hanno dato molto, anche i bambini che ho continuamente contattato e coinvolto creativamente.
Nel 1979, incaricato dalla ditta Alessi di produrre una versione della
classica «napoletana», inizi il tuo lavoro di ricerca sulla caffettiera
napoletana. Dai prototipi inventati nel quotidiano rapporto coi lattonai e i
ramaioli napoletani di Rua Catalana, del porto e dei quartieri spagnoli, hai
sempre sperimentato nuovi usi e funzioni per quello strumento che è ormai
diventato il fulcro di un'opera buffa del design, premiata con il Compasso
d'Oro 1981.
Il Compasso d'Oro è per la ricerca sulla caffettiera napoletana di cui ho
fatto migliaia di prototipi sfociando nell'”opera buffa del design” come l'ho
definita ricordando che Napoli è stata la patria dell'opera buffa in musica e nel
teatro è stata grandissima.
Il tuo nome si associa immediatamente all'invenzione poetica di oggetti e
arredi che rievocano l'infanzia, la poetica del quotidiano, la libera
espressione dell'arte. Ce ne parli?
Il contatto continuo con i bambini è stato determinante. Non aver paura
delle espressioni più semplici e genuine. Il mio carattere, la mia natura è assonante
con tutto ciò.
Opera di Riccardo Dalisi
Collezione Archimagazine
Fotografia © Archimagazine
Nel 1995 incominci a scolpire e a dipingere, ottenendo subito esiti
importanti e sicuri come attestano le mostre a Palazzo Reale di Napoli e a
Palazzo Marigliano, a p.zza dei Martiri a Napoli, alla Biennale
di Venezia, alla Triennale di Milano, alla Basilica Palladiana di Vicenza, al
Museo di Denver - Colorado, al Guggenheim Museum di New York, al Museo di
Copenaghen, al Museo d'Arte contemporanea di Salonicco, al Museo di Düsseldorf,
alla Biennale di Chicago, alla Fondazione Cartier di Parigi, alla Pasinger Fabrik
di Monaco, al Tabakmuseum di Vienna e alla Zita delle Spandau di Berlino. Come nasce questo nuovo interesse?
La mia scultura nasce dal design, dalla caffettiera soprattutto, che prima si sperimenta nel suo funzionamento poi nella forma, poi si anima e diventa personaggio.
La manualità che comporta si fa motore di espressione indipendente da ogni
funzione. Agiscono poi motivi di vita: dolore, aneliti,sogni; i sentimenti più
vari alimentano ogni spinta a farsi figura, volto, forma vivente, in materiali
affini più consistenti: ferro, il bronzo, l'acciaio lavorati in modi inventati,
semplici, che appaiono scontati.
La progressione: l'architettura, la geometria fervida - immaginata viva;
geometria generativa (presentata a Milano alla Triennale del 1980).
L'architettura partecipata genera l'artigianato e poi il design. Di questo la
scultura con un riflesso nell'architettura. Poi la pittura generata dal disegno
per le sculture. Una nuova avventura. Anche la pittura gioca un ruolo con un
ritorno all'architettura ed un riflesso nei laboratori che intanto si
consolidano, creano economia nel luogo ove si elaborano le caffettiere: Rua
Catalana, definita da Biffi Gentili l'unico luogo in Italia dove l'artigianato
è ancora ben vivo.
Direi alimentato e supportato dall'arte, letteralmente reinventato.
Ed ora anche alla Sanità laboratori del ferro, del rame (oggetti con una
espressività tutta propria).
Ancora un frammento per la moda (cravatte e forse guanti) con laboratori
creativi annessi,ed ancora, ancora, chissa?!
Opera di Riccardo Dalisi, in mostra allo Studio Trisorio
© Studio Dalisi
A cosa credi?
Alla creatività che rivela l'essenza della realtà e della vita che è continua ricerca, continuo rinnovamento, metamorfosi straordinaria, meravigliosa, senza limiti.
Qual è il tuo programma di lavoro?
Identificarmi sempre più con il flusso misterioso della vita cambiando
anche ambiti di esperienze.
Opera di Riccardo Dalisi, in mostra allo Studio Trisorio |
Opera di Riccardo Dalisi, in mostra allo Studio Trisorio |
Come ti definisci?
Con ciò che in quel momento sto operando: come architetto, come pittore,
come persona che medita. Il raccogliersi con se stessi, la riflessione è alla
base di tutto.
Cosa ti spinge al tuo lavoro, a fare ciò che fai?
La fiducia nella positività della vita.
Che importanza dai alle tue opere?
Un'importanza transitiva, legata al riscontro vibrante degli altri e del
tempo che passa.
Come una bottega rinascimentale, il tuo studio è un laboratorio sperimentale,
accumulo incessante e cangiante di opere, di disegni e schizzi, modellini,
plastici, pitture e una fucina di allievi e proseliti. Una volta l'hai
paragonato a un bosco che si porta dietro, pieno di sterpaglia e luoghi
inesplorati. "Vi sono luoghi dove non vado da dieci anni e più". Che
rapporto hai con tale spazio?
Sì. Il mio studio ha dei soppalchi su alcuni dei quali manco da almeno 20
anni. Non so più cosa ci sia se non immagini che si perdono nei meandri della
memoria. Qualcuno l'ha definito spazio terapeutico perché dopo un po' di tempo
ci si sente meglio trasportati in un mondo altro. La direttrice del Museo di Spandau
di Berlino ha detto: sembra di stare in una fiaba di Andersen.
Opera di Riccardo Dalisi e Mimmo Paladino, in mostra allo Studio Trisorio |
Opera di Riccardo Dalisi, in mostra allo Studio Trisorio |
Galileo diceva di un procedere senza scorta con l'occhio vigile della mente.
Cosa ti guida se non vi è un fine né un programma a lungo termine?
Il fine è mitico: lo svelamento dell'essere. L'arte è una via verso una
verità, un percorso di conoscenza. Ogni opera costa uno sforzo senza limiti,
immane, per andare oltre se stessi trasportando con sé gli altri...
Cos'è per te la bellezza?
Vibrazione, fremito di vita, necessaria, vitale.
Come operi materialmente?
Con tutti i mezzi, con nuovi materiali in tensione verso l'invenzione di
tecniche.
Un artista, un architetto, un poeta sono inventori di tecniche, unitamente alle
opere. Tecnica ed opera sono una sola cosa.
Insegni da circa quarant'anni - dal 1969 - all'Università di Napoli.
La tua vita è stata dedicata all'insegnamento dell'architettura e del design
(nella ns. Università la disciplina è individuata dal settore disciplinare di
Disegno Industriale). Ma nessun tuo allievo potrà continuare all'Università la
tua mission. Un sistema universitario a Napoli, per quel che riguarda la
facoltà di architettura, riprodotto ad Aversa alla Seconda università di
Napoli, dove gli allievi degli unici veri architetti, designer professori che
possiamo identificare in pochi elementi: Pica Ciamarra, Pagliara, Dalisi, non
hanno continuatori. Un sistema che valuta come titoli efficaci unicamente
logiche di parentado familiare. Ad esempio, nell'unico Corso di Laurea di
Disegno Industriale della Campania, adesso con sede a Marcianise (Ce), in cui
lavorano decine di docenti, non ce n'e' uno - e dico uno - di tuoi assistenti
a tenere un corso universitario. te ne dispiaci? Si possono ipotizzare
soluzioni?
Io mi sono sempre posto al di là degli ambiti codificati formalmente
definiti come è stato del resto per tutte le sperimentazioni nell'ambito
strettamente architettonico. Sin dagli anni '70 ho proposto e sperimentato con
modelli di ricerca il “caos” ed il disordine creativo, le strutture a nuvola
che sono oggi di moda.
I miei corsi universitari sin dal 1971 li ho svolti in buona parte fuori dell'
“edificio” di facoltà nei quartieri più degradati. Per me l'architettura
l'arte e le tecniche devono essere tese al riscatto sociale, all'eguaglianza,
al diritto di tutti di accedere alla sfera creativa fattiva che sfocia nel
lavoro solidale che illumini la vita di più persone possibile.
Le mie tecniche povere, le tecniche di animazione, lo spirito partecipativo
(“Progettazione e Compassione” è il titolo del mio corso libero - ultraliberissimo
- da tempo attivo alla Sanità a Napoli) sono spazi fecondi, propizi al
ricambio, all'allargamento di ogni visuale di vita. È un modo di essere a “sfere
terapeutiche” collettive.
I ragazzi sottoproletari che hanno partecipato all'”Architettura di Animazione”
negli anni '70 ce l'hanno fatta tutti quanti ad evitare i pericoli
dell'emarginazione estrema (droga ecc.). Penso che se non ci sono oggi docenti
di design e di architettura che si riconoscono nella linea tracciata, ci
sono moltissimi altri che hanno tratto spunti, suggerimenti ed aiuto concreti,
importantissimi per la loro vita. Questo in tutti i campi, perfino nel teatro e
nelle tecniche di animazione. È il mio un lavoro che tende a ramificarsi in
molti settori.
Un esempio importante sei proprio tu che hai messo su un'importantissima
rivista di architettura, sei un leader del settore, derivando che quello che ha
circolato attorno a me, per tanti anni, ha dato luogo ad un atteggiamento di fiducia in sé e nelle proprie possibilità.
Conversazione allo studio Dalisi in Calata S. Francesco, 59 a Napoli, il 6 giugno 2007.
Articolo inserito l'8 giugno 2007