Jacopo Barozzi da Vignola
di Cesare de Seta
Ne Le forme del tempo George Kubler, storico dell'architettura geniale e dimenticato, sosteneva che un linguaggio, quantunque innovativo, per essere riconosciuto come tale deve entrare nella serie delle forme al momento giusto. Basta lo scarto di un decennio o di un solo anno per l'innovazione proposta che essa rischia di soccombere ad altri più tempestivi o coincidenti "ingressi" nella serie. Questo concetto mi veniva a mente scorrendo i disegni e i modelli raccolti nella bella mostra dedicata a Jacopo Barozzi (Vignola 1507 - Roma 1573) che si è tenuta nella Rocca del suo paese natale (marzo-luglio 2002) che si leva, sull'Appennino modenese, con mole ferrigna di mattoni.
Caprarola
Jacopo era nato solo un anno prima di Andrea Palladio, ma fu il linguaggio di quest'ultimo a inserirsi nella "serie delle forme" con forza dirompente: per questa coincidenza Jacopo, nonostante il talento e la qualità delle opere realizzate, rimane una delle figure del Rinascimento italiano meno conosciute a petto di quel coetaneo la cui architettura ebbe un'insuperata diffusione in ogni angolo del mondo e per almeno due secoli buoni. Eppure le opere di Vignola sono sotto gli occhi di tutti: alcune nel cuore di Roma, altre a pochi chilometri da essa, altre nel centro di Bologna e a Piacenza. Chi non conosce Villa Giulia? Chi non ha visto, una volta almeno in televisione, il ninfeo di Villa Giulia crepitante di tavoli nella sera estiva in cui si assegna il premio Strega? Temo in pochi sanno che la splendida esedra che fa da sfondo al banco del presidente che snocciola i nomi dei candidati in lizza è opera del Vignola ed è parte di una villa che non so quanti hanno mai visitato al suo interno. Jacopo vi mise mano su commessa di papa Giulio III a cominciare dal 1551 su un cantiere avviato da Jacopo Sansovino: la villa è orientata secondo un asse est-ovest, imposto dalla stretta valle compresa tra villa Borghese e la collina dei Parioli. Alle spalle dell'esedra sono annessi tre grandi vani a due piani: la facciata principale, con finestre e trionfale portone d'ingresso con loggia soprastante, guarda la collina già verde dei Parioli. Il cortile con la sequenza delle colonne ioniche, a cui corrispondono paraste all'interno del portico voltato e affrescato, rimase dimezzato e mai concluso com'era nel disegno dell'architetto. Bartolomeo Ammannati che gli subentrò lasciò perdere quel braccio circolare che avrebbe dato unità al cortile e fece male, assai male: perché oggi la corte è incompiuta, ma la concatenazione tra cortile circolare e ninfeo dimezzato è tutta di sua mano ed è una mano attenta, rigorosa, limpida nell'articolazione degli ordini e nel calcolo delle proporzioni tra le parti. Come ben si vede anche nel piccolo vicino capolavoro che è Sant'Andrea sulla via Flaminia o in Sant'Anna dei Palafrenieri in Vaticano che sono più significative della celeberrima chiesa del Gesù rimasta orba della sua facciata a tutto vantaggio del giovane Giacomo Della Porta. Difatti Vignola - senza l'aura che circonda le figure di Bramante, Palladio e Michelangelo - non fu baciato dalla grazia che è propria di chi stravolge i linguaggi preesistenti: dedicò il meglio del suo talento nello stabilire uno standard qualitativo e proporzionale nell'architettura.
Rocca Boncompagni |
Palazzo Boncompagni |
Rocca Boncompagni |
I suoi testi non hanno le intenzioni teoriche dei trattati dell'Alberti, di Palladio o di Vincenzo Scamozzi: sono piuttosto degli abachi che hanno una funzione pratica. Le due regole della prospettiva pratica (edito postumo nel 1583) non hanno lo scopo, quello caro a Piero della Francesca o a Luca Pacioli, di offrire le regole di una nuova visione del mondo, ma piuttosto fornire gli strumenti per servirsi nel disegno di quella innovazione rivoluzionaria che fu la prospettiva: l'uso combinato delle due righe di legno e delle "sagme" di carta – dice fondatamente Richard J. Tuttle nel catalogo Electa, a cura di Tuttle stesso, B. Adorni, C. Frommel, C. Thoenes – prelude al disegno automatico. Allo stesso modo la Regola delli cinque ordini d'architettura (1562), un long-sellers per vari secoli, è un prontuario di tavole, con brevi testi esplicativi dei disegni stessi, che dovevano rendere accessibili ai tecnici quel miraggio vagheggiato e inseguito che sono gli ordini attorno i quali si dannarono l'anima gli architetti del Rinascimento. Vignola aveva esordito a Bologna come pittore e "prospettico" e in qualità di pittore giunse a Roma a tempo del pontificato di papa Giulio: ma fu Paolo III e la famiglia Farnese a conferirgli le più importanti commesse della sua vita e per i quali costruì il suo capolavoro. A Caprarola i Farnese avevano un loro feudo, dove avevano avviato la costruzione di una fortezza per mano di Peruzzi e Sangallo il giovane che s'adagia in cima a questo borgo medievale: nel 1556 il cardinale Alessandro – colto, ambizioso, elegante come ce lo mostra Tiziano - chiama Jacopo che già buone prove aveva dato nel cantiere del palazzo romano di famiglia. Vignola è ambizioso almeno quanto il committente e propone un palazzo a quattro piani a pianta esagona a cui si accede da un lungo viale. Un'infilata prospettica di 400 metri che dona a questo perfetto prisma una eccezionale scena paesistica: l'incisione prospettica del giovane Jacques Lemercier, probabilmente su disegno dello stesso Vignola, è di una efficace evidenza. Si vede l'acrocoro su cui poggia il palazzo con in primo piano gli edifici laterali, le due piazze collegate da una prima scala a forcipe e da una seconda a doppia rampa: alle spalle i giardini d'inverno e d'estate. Incassata in uno dei baluardi di facciata è sezionata la scala a chiocciola e la grande corte circolare con portico e loggia soprastante. In facciata al piano terreno un bugnato rustico a scarpa in cui si innestano i bastioni; al piano nobile una grandiosa loggia a sette arcate, con avancorpi agli angoli. Losanghe di mattoni gialli e rossi sono gli unici elementi cromatici che spiccano sul dominante stucco di finto travertino: la sovrapposizione dei quattro ordini formano una connessione gerarchica perfetta. Vignola coniuga il tema del poliedro esagono con i cerchi della scala a chiocciola, della grande corte e della cappella. Soluzione di straordinaria armonia geometrica: la scala, che principia dalle cantine, è retta da doppie colonne doriche con fregio a triglifi e si conclude con una calotta come nel Pantheon. Tempio nel quale il Vignola fu sepolto in quanto membro della Accademia dei Virtuosi. Nei due piani principali l'architetto inserisce gli appartamenti che sono disposti, per la rappresentanza, nei tre lati che danno sulla piana e i restanti destinati al privato. Chiunque giunga a Caprarola rimane sedotto dalla perfetta armonia tra il sito e l'immagine del prisma che quasi sembra scaturire dal cuore della roccia come una preziosa gemma. L'apparato decorativo ha negli affreschi della Sala d'Ercole il suo momento a me più caro: qui sono illustrati i feudi dei Farnesi con splendide vedute da Parma a Piacenza a Napoli. Ogni dettaglio in questo capo d'opera trova la sua giusta collocazione e una tale tornita perfezione sgombra il campo da quel frusto luogo comune di Barozzi architetto "ordinato", ma poco incline all'invenzione. In effetti la sua opera più nota, la chiesa del Gesù, anche da questa prospettiva conferma la sua attitudine all'innovazione, non allo strappo: messa in opera sapiente di tipologie che dopo di lui diverranno canoniche. Quando nel 1568 gli fu commissionata la chiesa dai Gesuiti impostò una pianta che risponde perfettamente al dettato degli Esercizi spirituali di Ignazio da Loyola che riteneva necessaria la persuasione dei fedeli anche attraverso la funzione catartica dell'arte nelle sue più diverse articolazioni formali. Naturalmente questo programma di evangelizzazione esigeva un invaso spaziale nuovo. Circa trent'anni prima dell'intervento del Vignola, Michelangelo aveva già disegnato una pianta a sviluppo longitudinale che il bolognese in qualche modo assecondò nel suo progetto: la grande navata, con ai lati solo una sequenza di cappelle, mostra un'accentuata spazialità ribadita dalla trabeazione continua e dalle coppie di lesene. La cupola, su alto tamburo, è visibile sin dall'ingresso della chiesa in modo che il tema del verticalismo si coniuga a quello della direzionalità longitudinale della navata. La luce si diffonde in modo uniforme in basso, ma nella parte alta – grazie ai finestroni ritagliati nella volta a botte – essa è più intensa e diretta: effetto di luminosità che si fa ancora più accentuato in corrispondenza della cupola dove viene collocato il pulpito del predicatore. La facciata realizzata tra il 1573 e il ‘75 è opera del Della Porta il cui disegno fu preferito a quello del Vignola. Una vicenda assai amara per il vecchio maestro che troncò il suo privilegiato rapporto con i Farnese, finanziatori del tempio, che lui aveva servito per trent'anni.
Jacopo Barozzi nacque a Vignola, presso Modena, nel 1507 e morì a Roma, dove fu sepolto nel Pantheon, nel 1973.
Universalmente riconosciuto come uno dei principali architetti del Cinquecento italiano, il Vignola resta, ciononostante, una delle figure meno note del Rinascimento.
La sua importanza storica si basa su un gruppo di edifici straordinariamente inventivi ed influenti presenti a Roma e nell'Italia centro-settentrionale, come pure su fondamentali pubblicazioni teoriche riguardanti gli ordini e la prospettiva. La padronanza e la compresenza di teoria e prassi pongono così Vignola a fianco dei principali architetti rinascimentali come Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio Martini e Sebastiano Serlio, per non citare il suo diretto contemporaneo, Andrea Palladio. Iniziò la carriera formandosi come pittore a Bologna, raggiungendo una eccezionale abilità nell'arte del disegno e una pari competenza nella scienza prospettica.
Trasferitosi a Roma nei tardi anni '30 del Cinquecento, entrò nel circolo artistico associato alla famiglia Farnese e, sotto papa Paolo III, lavorò in Vaticano come pittore e collaboratore ai progetti nonché nel rilievo dell'architettura antica.
A ciò seguirono due anni al servizio del re di Francia Francesco I, assistendo il Primaticcio nell'esecuzione di copie in bronzo di statue antiche per la residenza reale di Fontainebleau.
A Bologna dal 1548, Vignola fu architetto della Basilica di San Petronio, dove realizzò il ciborio dell'altare maggiore e importanti disegni per la facciata. Rinnovò anche il Canale Naviglio della città e fu coinvolto nella costruzione del palazzo di Achille Bocchi. Alcuni anni dopo avrebbe abilmente modificato l'immagine della Piazza Maggiore con l'inserimento dell'imponente Portico dei Banchi. Nel 1550 Vignola si spostò a Roma dove, nell'arco di due decadi, raggiunse il culmine della sua professione. La sua carriera fiorì sotto cinque successivi pontefici (Giulio III, Marcello II, Paolo IV, Pio IV, Gregorio XIII).
E' di questo periodo la famosa villa di papa Giulio, con il suo nobile fronte, l'elegante corte semicircolare e il ninfeo neo-antico. Contemporaneo a Villa Giulia è il capolavoro minore di Sant'Andrea in via Flaminia, la bella cappella a forma di Pantheon con volta ellittica posta appena fuori Porta del Popolo. A questa chiesa avrebbe fatto seguito quella di Sant'Anna dei Palafrenieri, la prima chiesa ovale di Roma.
Dopo la morte di Michelangelo nel 1564, Vignola assunse l'incarico di architetto capo della basilica di San Pietro in Vaticano. Durante gli anni romani, Jacopo Barozzi fu anche l'architetto della ricca e potente famiglia Farnese, servendo sia il cardinal Ranuccio nel supervisionare il lavoro per il Palazzo Farnese di Roma, sia il "gran cardinale" Alessandro, per il quale progettò e costruì lo spettacolare Palazzo Farnese a Caprarola. Uno dei maggiori monumenti europei e suo supremo capolavoro, Caprarola abbraccia il tema delle fortificazioni e della progettazione urbana, del disegno di giardini e dell'ingegneria idraulica, della decorazione interna, come pure del progetto architettonico d'impianto classico.
Grazie al cardinal Alessandro, inoltre, l'architetto fu incaricato del progetto della chiesa madre dei Gesuiti a Roma, il Gesù, il cui disegno avrebbe influenzato tutta l'architettura religiosa per ben tre secoli. Per Ottaviano Farnese e Margherita d'Austria, duchi di Parma e Piacenza, Vignola iniziò la colossale e incompiuta residenza ducale di Piacenza.
Vignola, oltre che architetto, è stato pure un importante teorico. La sua fama si basa anche su due famosi libri, uno sugli ordini pubblicato nel 1562, quando era ancora in vita (la Regola delli cinque ordini); l'altro sulla prospettiva (Le due Regole della prospettiva pratica), pubblicato postumo nel 1583 da Egnazio Danti.
Il più influente dei due è stato senza alcun dubbio il primo, tradotto in tutte le lingue europee. La fama e la fortuna del Vignola, soprattutto nel XIX-XX secolo, si sono anzi in gran parte basate proprio sulla codificazione dei vari ordini architettonici (tuscanico, dorico, ionico, corinzio e composito) contenuta in questo volume. In realtà lo scopo del Vignola, rendere facile la progettazione degli ordini architettonici a partire da misure ed ingombri prefissati, è stato completamente frainteso. Così l'emiliano è stato a lungo considerato un pedante accademico, nemico di ogni novità e, infatti, il disegno degli ordini cosiddetti "del Vignola" ha costituito per decenni, se non per secoli, il tirocinio di ogni apprendista architetto o studente d'Accademia. Questo ha a lungo pesato anche sulla valutazione della sua opera architettonica, soprattutto quando, con il Movimento Moderno, lo studio degli ordini architettonici fu del tutto abbandonato, considerandolo sinonimo di impotenza e sterilità creativa.
La stessa posizione storica del Vignola, al culmine di quello che possiamo definire il Rinascimento maturo, ha reso difficile un'equilibrata valutazione della sua opera. Nascendo dopo una serie di grandi geni creativi (Bramante, Raffaello, Antonio da Sangallo il Giovane, Peruzzi, Serlio) ed essendo, per giunta, un contemporaneo di Michelangelo (morto nel 1564) e dei cosiddetti "manieristi", Vignola è stato spesso considerato come l'architetto della "norma" e del ripiegamento espressivo. In realtà, e questa mostra e gli studi da essa promossi stanno a dimostrarlo, Vignola è molto più "moderno" ed è stato molto più influente, anche per le sue opere architettoniche, di tanti suoi contemporanei.