Biografie

Giuseppe Vaccaro

"L'architettura può esprimere i caratteri più essenziali e profondi della cultura attuale e formularli in sintesi d'arte? Se no, il suo interesse decade. Se sì, questo è il suo massimo compito. Alla luce di queste finalità se ne debbono ricercare i massimi valori".

Questa domanda scandisce il tempo dell'attività progettuale di Giuseppe Vaccaro (Bologna, 31 aprile 1896 - Roma 11 settembre 1970), restituendoci la ragione profonda del fare sperimentale svolto, per quasi cinquant'anni, da uno dei maggiori architetti italiani del Novecento.

Laureato nel 1920 a Bologna, Vaccaro attraversa le vicende dell'architettura italiana del secolo scorso con indipendenza di pensiero e originalità di linguaggio, rinunciando a produrre manifesti ideologici per concentrarsi sulle forme proprie dell'architettura: "un'arte - si legge in un suo scritto del 1943 - che si esprime per mezzo del potere emotivo delle forme costruite per scopi inerenti la vita umana". Negli anni tra le due guerre, testimonianze tra le più significative di tale convincimento sono opere quali la Facoltà di Ingegneria di Bologna (1931-35), il Palazzo delle Poste di Napoli (1928-36), i progetti romani per l'Auditorium (1935) e per la Casa littoria (1937) - gli ultimi due in collaborazione con Mario De Renzi e Adalberto Libera -, sino al capolavoro assoluto costituito dalla colonia Agip di Cesenatico (1936-38), opera in cui appare pienamente soddisfatta quella che lo stesso Vaccaro, echeggiando il suono delle parole di Sant'Agostino, aveva indicato essere la "sete spirituale" dell'epoca: "rendere bello ciò che la ragione dice essere vero". La convinzione che solo "la vera arte potrà superare la tecnica: mai ignorarla", appare manifestamente anche nei progetti di Vaccaro per la residenza collettiva - un tema presente lungo l'intero arco della sua carriera, che trova esiti di notevole interesse in alcuni quartieri realizzati nel dopoguerra, nell'ambito dei piani Ina-Casa e Cep. Quartieri, tra gli altri, come Ponte Mammolo a Roma (1957-62), oppure via della Barca a Bologna (1957-62), denotano infatti la costante attenzione portata da Vaccaro alla precisa soluzione dei problemi connessi alle "funzioni" dell'abitare, ma anche la sua capacità di trascendere, nella sintesi formale, il mero dato pratico del tema.




Cortesia Abaco Associazione Culturale per l'Architettura

Vaccaro è uomo del suo tempo e non può non coglierne le contraddizioni. Così, a fronte di architetture unitarie e "felici" quali il piccolo asilo nido nel quartiere Ina-Casa di Piacenza (1953-55), gli anni del secondo dopoguerra vedono anche la realizzazione di opere attraversate da tensioni a tratti drammatiche - come nell'irrisolta dialettica tra esterno ed interno della chiesa di Sant'Antonio Abate a Recoaro Terme (1949-51) - e caratterizzate da una sorta di precario equilibrio tra riflessi terreni e slanci spirituali, tra concretezza dei materiali e nitore delle forme - come nelle chiese del Sacro Cuore di Maria Immacolata nel quartiere di Borgo Panigale (1955-62) e di San Giovanni Bosco a Bologna (1958-67); architetture che rivelano l'inquietudine con cui "il più laico tra gli architetti" percepisce, in quel frangente, le lacerazioni della condizione moderna, come anche la sua aspirazione ad esprimere, attraverso il proprio fare artistico, i caratteri più essenziali e profondi dell'epoca.